Published by Redazione web on 10 Maggio 2023
Corte di cassazione – Sezione III civile – Sentenza 25 novembre 2022-3 marzo 2023 n. 6386
Corte di cassazione – Sezione III civile – Sentenza 25 novembre 2022-3 marzo 2023 n. 6386
Con sentenza n. 6386 del 2022 la sez.III Cass. civ.ha compiuto una attenta analisi sulla natura della responsabilità della struttura sanitaria a seguito di infezione nosocomiale contratta dal paziente durante il periodo di ricovero specificando, in specie, sia gli elementi costitutivi che i criteri di riparto dell’onere probatorio.
In primo luogo i giudici di legittimità precisano che la responsabilità della struttura per le infezioni nosocomiali non ha natura oggettiva, ma prevede una diversa distribuzione dell’onere probatorio a seconda che a dedurre il fatto illecito sia il paziente (responsabilità contrattuale) o i suoi prossimi congiunti in caso di decesso (responsabilità extracontrattuale)
In secondo luogo e sempre in materia di infezioni nosocomiali la stessa Corte precisa che la consulenza tecnica d’ufficio deve accertare la relazione eziologica tra l’infezione e la degenza ospedaliera in relazione a situazioni: a) di mancanza o insufficienza di direttive generali in materia di prevenzione; b) di mancato rispetto di direttive adeguate e adeguatamente diffuse, di omessa informazione circa la possibile inadeguatezza della struttura per l’indisponibilità di strumenti essenziali e di ricovero non sorretto da alcuna esigenza di diagnosi e cura ed associato ad un trattamento non appropriato.
I giudici di legittimità confermano, pertanto, l’indirizzo giurisprudenziale che, esclusa la configurabilità di una responsabilità di tipo oggettivo in capo alla struttura sanitaria, “inquadra” le pretese risarcitorie ed il relativo regime di onere probatorio (come appresso meglio si vedrà) nell’ambito di un rapporto di tipo contrattuale o extracontrattuale a seconda che a lamentare il pregiudizio sia la persona che si è rivolta ed affidata alle cure e prestazioni di ricovero svolte da e presso la struttura sanitaria (tramite la stipula di un contratto di spedalità) oppure i suoi familiari che lamentano un danno parentale a seguito del suo decesso derivante da infezione nosocomiale contratta durante il periodo di ricovero.
Nel caso affrontato dalla Sez. III Cass civile i ricorrenti (parenti della vittima) lamentavano la circostanza per cui il giudice del merito (sia in primo che secondo grado) aveva disatteso ogni loro richiesta risarcitoria laddove (nonostante dalla Ctu acquisita agli atti di causa risultasse che la loro congiunta avesse contratto una infezione nosocomiale a seguito di una banale caduta da una sediadurante il periodo del suo ricovero e che, a distanza di pochi giorni, la stessa era morta per complicanze che erano derivate da detta infezione) si era concentrato esclusivamente sull’efficacia o meno delle terapie somministrate alla paziente dai singoli sanitari a seguito della caduta. Il giudice di Appello aveva escluso ogni tipo di responsabilità in capo ai medici ed sanitari che avevano provveduto a curare le contusioni in quanto non potevano sapere che a seguito di detta caduta si fosse sviluppata in modo veloce e con particolare violenza l’infezione che, poi, nel giro di pochi giorni avrebbe causato la morte della paziente (ricoverata presso la struttura sanitaria per un intervento oculare di tipo ordinario ed il cui quadro clinico, a parte uno stato di obesità, non segnalava l’esistenza di specifiche pregresse patologie in capo alla stessa).
La Corte di Cassazione, in specie, ritiene viziato il criterio di valutazione adottato dal Giudice di appello laddove lo stesso, a fronte di una accertata contrazione di infezione nosocomiale in ambito sanitario, esclude l’esistenza di ogni tipo di nesso causale in capo alla struttura sanitaria utilizzando, a tal riguardo, un criterio di giudizio ritenuto dalla cassazione errato in quanto basato sulla certezza del rapporto di causa-effetto anziché su un modello di ricostruzione del nesso causale fondato sul giudizio di probabilità logica, o del più probabile che non, modello da utilizzareal fine di verificare la sussistenza del nesso causale tra condotta ed evento di danno.
In particolare il Giudice di legittimità (dopo aver censurato l’argomentazione della Corte di appello secondo cui anche se la paziente fosse stata trattata immediatamente con terapia antibiotica non è certo che la signora sarebbe guarita, e non è certo quindi che la sua morte sia dovuta alla condotta dei sanitari)precisa che, anche nel caso di specie, occorre verificare, sulla base di un ragionamento ipotetico di natura controfattuale, la rilevanza eziologica dell’omissione (imputabile alla struttura sanitaria ed ai sanitari operanti presso la stessa), per cui occorre stabilire se il comportamento doveroso che la struttura avrebbe dovuto tenere sarebbe stato in grado di impedire o meno l’evento lesivo, secondo un criterio appunto probabilistico e tenuto conto di tutte le risultanze del caso concreto nella loro irripetibile singolarità – giudizio da ancorarsi non esclusivamente alla determinazione quantitativo-statistica delle frequenze di classe di eventi (cd. probabilità quantitativa), ma soprattutto all’ambito degli elementi di conferma disponibili nel caso concreto cd. probabilità logica (v. Cass. n. 21530 del 2021).
Pertanto, anche nel caso di specie, la Corte puntualizza che se è vero che la prova del nesso causale tra il comportamento dei sanitari e l’evento dannoso deve essere fornita da chi agisce per il risarcimento dei danni (secondo i criteri di riparto che presiedono all’accertamento delle responsabilità da inadempimento, ritardo o inesatto adempimento di tipo contrattuale ed extracontrattuale nei termini di cui si è sopra detto) essa deve essere fornita in termini probabilistici, e non di assoluta certezza.
Nel caso di specie ulteriormente e testualmente precisano i Giudici di legittimità che la corte d’appello ha dunque compiuto un duplice errore di diritto: – da un canto, ha effettuato il giudizio controfattuale limitatamente al solo comportamento dei sanitari, senza considerare il dato, obiettivo, della contrazione della infezione in ambito nosocomiale;- in secondo luogo, ha utilizzato un criterio di valutazione eziologica non conforme a diritto, cioè quello della certezza della possibilità di evitare il danno a fronte di un comportamento diverso, ritenuta non raggiunta, anziché quello probabilistico.
Sulla scorta di tutto quanto sopra detto con la presente sentenza la Corte di Cassazione coglie l’occasione per puntualizzare i seguenti importanti principi:
in tema di infezioni nosocomiali, questa Corte ha recentemente affermato (Cass. sez. III, 23/02/2021, n. 4864) che, in applicazione dei principi sul riparto dell’onere probatorio in materia di responsabilità sanitaria, secondo cui spetta al paziente provare il nesso di causalità fra l’aggravamento della situazione patologica (o l’insorgenza di nuove patologie) e la condotta del sanitario, mentre alla struttura sanitaria compete la prova di aver adempiuto esattamente la prestazione o la prova della causa imprevedibile ed inevitabile dell’impossibilità dell’esatta esecuzione, con riferimento specifico alle infezioni nosocomiali, spetterà alla struttura provare: 1) di aver adottato tutte le cautele prescritte dalle vigenti normative e dalle leges artis, al fine di prevenire l’insorgenza di patologie infettive; 2) di dimostrare di aver applicato i protocolli di prevenzione delle infezioni nel caso specifico; di tal che la relativa fattispecie non integra un’ipotesi di responsabilità oggettiva (Cass. sez. III, 15/06/2020, n. 11599), mentre, ai fini dell’affermazione della responsabilità della struttura sanitaria, rilevano, tra l’altro, il criterio temporale – e cioè il numero di giorni trascorsi dopo le dimissioni dall’ospedale – il criterio topografico – i.e. l’insorgenza dell’infezione nel sito chirurgico interessato dall’intervento in assenza di patologie preesistenti e di cause sopravvenute eziologicamente rilevanti, da valutarsi secondo il criterio della cd. “probabilità prevalente” – e il criterio clinico – volta che, in ragione della specificità dell’infezione, sarà possibile verificare quali, tra le necessarie misure di prevenzione (quali di seguito alla presente nota anche meglio individuate) era necessario adottare.
Il caso che ci occupa, inoltre, è caratterizzato dalla riscontrata esistenza di una prova presuntiva (non contestata in corso di causa) relativa alla contrazione di una infezione nosocomiale contratta in ambito ospedaliero (a seguito di una banale caduta da una sedia da parte della paziente, obesa e senza preesistenti peculiari patologie cliniche, durante il suo ricovero presso una struttura sanitaria ai fini di un intervento oculare di natura routinaria).
A fronte della riscontrata esistenza i detta prova presuntiva la Cassazione ulteriormente precisa che in base ai principi generali del nostro ordinamento (e nell’ambito dei summenzionati criteri della cd. probabilità prevalente e del criterio clinico riferiti alla specificità dell’infezione) ai fini della dimostrazione di aver adottato sul piano della prevenzione generale tutte le misure utili alla prevenzione da infezioni nosocomiali (ed anche al fine di fornire al CTU la documentazione necessaria) devono, ritenersi gravanti sulla struttura i seguenti oneri probatori: a) L’indicazione dei protocolli relativi alla disinfezione, disinfestazione e sterilizzazione di ambienti e materiali; b) L’indicazione delle modalità di raccolta, lavaggio e disinfezione della biancheria; c) L’indicazione delle forme di smaltimento dei rifiuti solidi e dei liquami; d) Le caratteristiche della mensa e degli strumenti di distribuzione di cibi e bevande; e) Le modalità di preparazione, conservazione ed uso dei disinfettanti; f) La qualità dell’aria e degli impianti di condizionamento; g) L’attivazione di un sistema di sorveglianza e di notifica; h) L’indicazione dei criteri di controllo e di limitazione dell’accesso ai visitatori; i) Le procedure di controllo degli infortuni e delle malattie del personale e le profilassi vaccinali; j) L’indicazione del rapporto numerico tra personale e degenti; k) La sorveglianza basata sui dati microbiologici di laboratorio; l) La redazione di un report da parte delle direzioni dei reparti da comunicare alle direzioni sanitarie al fine di monitorare i germi patogeni-sentinella; m) L’indicazione dell’orario della effettiva esecuzione delle attività di prevenzione del rischio.
Riguardo agli oneri soggettivi di prevenzione da infezioni nosocomiali contratte in ambito ospedaliero la Corte di legittimità statuisce che sul dirigente apicale grava l’obbligo di indicare le regole cautelari da adottarsi ed il connesso potere-dovere di sorveglianza e di verifica della loro applicazione (ad. es mediante riunioni periodiche/visite periodiche), al pari del CIO; sul direttore sanitario il dovere di attuare dette regole cautelari, di organizzare gli aspetti igienico e tecnico-sanitari, di vigilare sulle indicazioni fornite (Decreto del Presidente della Repubblica n. 128 del 1069, articolo 5); il dirigente di struttura complessa (l’ex primario), esecutore finale dei protocolli e delle linee guida, dovrà collaborare con gli specialisti microbiologo, infettivologo, epidemiologo, igienista, ed è responsabile per omessa assunzione di informazioni precise sulle iniziative di altri medici, o per omessa denuncia delle eventuali carenze ai responsabili.
Relativamente agli accertamenti del medico legale con riguardo specifico al caso in esame (ma con valenza di principio che può ritenersi generale) la stessa Corte testualmente precisa che questi dovrà indagare sulla causalità tanto generale quanto specifica, da un lato escludendo, se del caso, la sufficienza delle indicazioni di carattere generale in ordine alla prevenzione del rischio clinico, dall’altro evitando di applicare meccanicamente il criterio del post hoc – propter hoc, esaminando la storia clinica del paziente, la natura e la qualità dei protocolli, le caratteristiche del microrganismo e la mappatura della flora microbica presente all’interno dei singoli reparti: al CTU andrebbe, pertanto, rivolto un quesito composito, specificamente indirizzato all’accertamento della relazione eziologica tra l’infezione e la degenza ospedaliera in relazione a situazioni: a) Di mancanza o insufficienza di direttive generali in materia di prevenzione (responsabilità dei due direttori apicali e del CIO); b) Di mancato rispetto di direttive adeguate e adeguatamente diffuse (responsabilità del primario e dei sanitari di reparto), di omessa informazione della possibile inadeguatezza della struttura per l’indisponibilità di strumenti essenziali (Cass. 6138/2000; Cass. 14638/2004), e di ricovero non sorretto da alcuna esigenza di diagnosi e cura ed associato ad un trattamento non appropriato.
Avv. Bernardino Sisti